Sinodo e Chiesa reale. La voce fuori dal coro di un insigne storico e cardinale

(s.m.) Mentre il sino­do sul­la sino­da­li­tà si tra­sci­na stan­ca­men­te ver­so una con­clu­sio­ne anco­ra una vol­ta prov­vi­so­ria e vaga, da fuo­ri due insi­gni car­di­na­li ultra­no­van­ten­ni dico­no e scri­vo­no cose incom­pa­ra­bil­men­te più soli­de e vita­li. Entrambi con uno sguar­do all’intera sto­ria del­la Chiesa.

Il pri­mo è il cine­se Joseph Zen Zekiun, 92 anni, già vesco­vo di Hong Kong, con un libro agi­le e taglien­te usci­to pochi gior­ni fa in Italia per i tipi di Ares: “Una, san­ta, cat­to­li­ca e apo­sto­li­ca. Dalla Chiesa degli apo­sto­li alla Chiesa sino­da­le”. Nel qua­le iden­ti­fi­ca la sto­ria del­la Chiesa come una sto­ria di mar­ti­ri del­la fede.

Il secon­do è il tede­sco Walter Brandmüller (nel­la foto), 95 anni, una vita da stu­dio­so e docen­te di sto­ria, pre­si­den­te dal 1998 al 2009 del Pontificio comi­ta­to di scien­ze sto­ri­che, con il testo qui sot­to, che ha scrit­to e offer­to a Settimo Cielo per la pub­bli­ca­zio­ne.

La sua dot­ta e avvin­cen­te rico­stru­zio­ne indi­vi­dua l’origine dell’autentica gui­da col­le­gia­le del­la Chiesa, fin dai pri­mi seco­li, nei con­ci­li o sino­di che face­va­no capo al rispet­ti­vo vesco­vo metro­po­li­ta. Niente a che vede­re con le moder­ne con­fe­ren­ze epi­sco­pa­li, che oggi aspi­ra­no a veder­si attri­bui­ta anche “qual­che auto­ri­tà dot­tri­na­le” (“Evangelii gau­dium, 32), ma in real­tà nac­que­ro per ragio­ni poli­ti­che e di rap­por­ti “ad extra” con la socie­tà cir­co­stan­te.

Invece la vita del­la Chiesa “ad intra” è sta­ta, e dovreb­be con­ti­nua­re ad esse­re, la com­pe­ten­za dei sino­di del­le metro­po­lie, in quan­to “for­ma sacra­le dell’esercizio del mini­ste­ro docen­te e pasto­ra­le fon­da­to sull’ordinazione dei vesco­vi riu­ni­ti”.

La dila­ta­zio­ne fuo­ri misu­ra del ruo­lo del­le con­fe­ren­ze epi­sco­pa­li non è, a giu­di­zio di  Brandmüller, una sem­pli­ce disfun­zio­ne orga­niz­za­ti­va, per­ché ha aggra­va­to il “pro­ces­so stri­scian­te di seco­la­riz­za­zio­ne del­la Chiesa ai gior­ni nostri”.

E infat­ti, l’atto di spe­ran­za con cui Brandmüller con­clu­de è che, resti­tuen­do il loro ruo­lo ori­gi­na­rio e pie­no ai con­ci­li del­le metro­po­lie e limi­tan­do le con­fe­ren­ze epi­sco­pa­li al loro ruo­lo “ad extra”, si com­pia “un pas­so impor­tan­te in dire­zio­ne dell’obiettivo del­la de-secolarizzazione e quin­di di una ria­ni­ma­zio­ne spi­ri­tua­le del­la Chiesa, spe­cial­men­te in Europa”.

Ma ecco il testo del car­di­na­le, qua e là abbre­via­to col suo con­sen­so.

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Conferenze episcopali e declino della fede. Come invertire la rotta

di Walter Brandmüller

Nella sua Lettera ai Romani, l’apostolo Paolo ammo­ni­sce i cri­stia­ni: “Non con­for­ma­te­vi a que­sto mon­do…”. Indubbiamente il moni­to si rife­ri­sce allo sti­le di vita di ogni buon cri­stia­no, ma riguar­da anche la vita del­la Chiesa in gene­ra­le. E non vale solo per i con­tem­po­ra­nei dell’apostolo, ma per tut­ta la Chiesa in ogni tem­po, quin­di anche oggi. È su que­sto sfon­do che si pone la doman­da: la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le è – come spes­so affer­ma­to – un orga­no di col­le­gia­li­tà epi­sco­pa­le secon­do gli inse­gna­men­ti del con­ci­lio Vaticano II?

Prima di rispon­de­re a tale doman­da, occor­re riman­da­re all’organo di col­le­gia­li­tà auten­ti­co e ori­gi­na­rio: il con­ci­lio pro­vin­cia­le. Quest’ultimo era l’assemblea dei vesco­vi di una data pro­vin­cia eccle­sia­sti­ca al fine dell’esercizio comu­ne del mini­ste­ro docen­te e pasto­ra­le.

La pro­vin­cia eccle­sia­sti­ca, a sua vol­ta, era il risul­ta­to di un pro­ces­so sto­ri­co: la filia­zio­ne. Attraverso l’evangelizzazione, che par­ti­va da una chie­sa epi­sco­pa­le, si crea­va­no nuo­ve dio­ce­si, i cui vesco­vi veni­va­no ordi­na­ti dal vesco­vo del­la Chiesa madre. Ciò dava ori­gi­ne – e lo fa anco­ra oggi – alla strut­tu­ra metro­po­li­ta­na, la pro­vin­cia eccle­sia­sti­ca. Pertanto, essa non è il frut­to di un atto mera­men­te burocratico-amministrativo, ben­sì di un pro­ces­so orga­ni­co sacramentale-gerarchico. La pra­ti­ca del­la filia­zio­ne è “tra­di­tio in actu”, ovve­ro tra­di­zio­ne in atto. Oggetto del­la tra­di­zio­ne non è sol­tan­to l’insegnamento, ben­sì l’intera real­tà Chiesa; essa pren­de cor­po nel sino­do pro­vin­cia­le. Ed è pro­prio in que­sto che ha radi­ce la sua auto­ri­tà docen­te e pasto­ra­le, come anche il carat­te­re vin­co­lan­te del­la legi­sla­zio­ne sino­da­le.

La con­fe­ren­za epi­sco­pa­le, inve­ce, si distin­gue in modo fon­da­men­ta­le da tut­to ciò. Essa è piut­to­sto l’assemblea dei vesco­vi le cui dio­ce­si – in gene­re – si tro­va­no nel ter­ri­to­rio di uno sta­to lai­co, di una nazio­ne.

Il prin­ci­pio orga­niz­za­ti­vo del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le, per­tan­to, non è di natu­ra eccle­sio­lo­gi­ca ben­sì poli­ti­ca.

Il fine ori­gi­na­le del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le era – e dovreb­be con­ti­nua­re a esse­re – quel­lo di dibat­te­re e deci­de­re sul­le que­stio­ni riguar­dan­ti la vita del­la Chiesa pro­prio in que­sta cor­ni­ce poli­ti­ca di rife­ri­men­to. Dalla sto­ria e dai fini del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le emer­ge che si trat­ta pre­va­len­te­men­te del­la gestio­ne dei rap­por­ti tra la Chiesa e il con­te­sto sta­ta­le e socia­le nel qua­le essa vive.

A par­ti­re dal XX seco­lo, tut­ta­via, gli svi­lup­pi con­cre­ti han­no por­ta­to a far sì che la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le trat­tas­se anche – se non soprat­tut­to — tema­ti­che inter­ne alla Chiesa.

A soste­gno di que­sta pra­ti­ca si fa rife­ri­men­to al nume­ro 23 del­la Costituzione con­ci­lia­re “Lumen gen­tium”, dove però vie­ne det­to solo a mar­gi­ne che la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le può appor­ta­re “un mol­te­pli­ce e fecon­do con­tri­bu­to accioc­ché il sen­so di col­le­gia­li­tà si rea­liz­zi con­cre­ta­men­te”.

È pro­prio da que­sto testo che il gio­va­ne teo­lo­go Joseph Ratzinger ave­va rite­nu­to di poter deri­va­re la tesi secon­do cui la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le pote­va esse­re con­si­de­ra­ta la con­cre­tiz­za­zio­ne attua­le dal­la strut­tu­ra sino­da­le del­la Chiesa dei pri­mor­di (in: J.C. Hampe, “Ende der Gegenreformation. Das Konzil: Dokumente und Deutung”, Magonza 1964, 161 seg.; tito­lo: “Konkrete Formen bischö­fli­cher Kollegialität”).

È sta­ta poi l’esperienza degli svi­lup­pi post-conciliari a por­tar­lo, ormai dive­nu­to pre­fet­to del­la Congregazione per la Dottrina del­la Fede, a una visio­ne disil­lu­sa e più cri­ti­ca del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le. Nel frat­tem­po, infat­ti, era­no sta­te isti­tui­te con­fe­ren­ze epi­sco­pa­li ovun­que e, spe­cial­men­te in Europa, ave­va­no svi­lup­pa­to for­me e pro­ce­du­re che dava­no loro l’apparenza di un’istanza gerar­chi­ca inter­me­dia tra la Santa Sede e il sin­go­lo vesco­vo.

Le con­se­guen­ze di quel modo di vede­re sono sta­te asso­lu­ta­men­te nega­ti­ve. Gli appa­ra­ti buro­cra­ti­ci del­le con­fe­ren­ze epi­sco­pa­li si sono appro­pria­ti sem­pre più anche del­le que­stio­ni che riguar­da­va­no il sin­go­lo vesco­vo. Così, col pre­te­sto del­le rego­la­men­ta­zio­ni uni­for­mi, sono sta­te – e con­ti­nua­no a esse­re – lese la liber­tà e l’autonomia dei sin­go­li vesco­vi. Ratzinger in que­sto con­te­sto par­la anche di spi­ri­to di grup­po, con­for­mi­smo e ire­ni­smo, di ade­gua­men­ti, per amo­re di pace, che pos­so­no deter­mi­na­re l’azione del­le con­fe­ren­ze epi­sco­pa­li. Egli cri­ti­ca con par­ti­co­la­re enfa­si la pre­te­sa di auto­ri­tà docen­te del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le. […]

Così Ratzinger osser­va anche che spes­so i vesco­vi si sono oppo­sti all’istituzione di una con­fe­ren­za epi­sco­pa­le, rite­nen­do che avreb­be limi­ta­to i loro dirit­ti.

Sta di fat­to che l’esautorazione del sin­go­lo vesco­vo per mez­zo di un appa­ra­to buro­cra­ti­co sof­fo­can­te è moti­vo di gran­de pre­oc­cu­pa­zio­ne, cosa dal­la qua­le ha subi­to mes­so in guar­dia Giovanni Paolo II con il Motu pro­prio “Apostolos suos” del 1° mag­gio 1998. Questa pre­oc­cu­pa­zio­ne è tan­to più gran­de in quan­to il pote­re pasto­ra­le del vesco­vo è diret­ta­men­te di dirit­to divi­no. […]

A meri­ta­re più cri­ti­che è però il con­cet­to di con­fe­ren­za epi­sco­pa­le nazio­na­le, in una Chiesa che è “di tut­te le tri­bù, lin­gue e nazio­ni”. […] Non deve sor­pren­de­re che i papi non abbia­no rico­no­sciu­to i con­ci­li nazio­na­li in Francia sot­to Napoleone I o che abbia­no impe­di­to in par­ten­za che se ne tenes­se uno in Germania nell’anno del­la rivo­lu­zio­ne 1848. In par­ti­co­la­re, però, è sta­to per il peri­co­lo che – seguen­do l’esempio del­la “eccle­sia gal­li­ca­na” dell’ancien regi­me – ci potes­se­ro esse­re vere e pro­prie Chiese nazio­na­li che, in unio­ne tut­tal­più allen­ta­ta con la sede di Pietro, vives­se­ro una vita pro­pria rego­la­men­ta­ta dal­lo Stato.

Di fat­to, la crea­zio­ne di un’istanza nazio­na­le costrin­ge all’allentamento, se non allo scio­gli­men­to, del­la “com­mu­nio” del­la Chiesa uni­ver­sa­le, che tro­va poi espres­sio­ne in rego­la­men­ta­zio­ni nazio­na­li spe­cia­li. Lo si spe­ri­men­ta nel­la manie­ra più evi­den­te nel­la litur­gia; basti pen­sa­re all’introduzione del­le lin­gue nazio­na­li. […]

Allo stes­so modo, come è acca­du­to di recen­te, costi­tui­sco­no un gra­ve attac­co all’unità di fede nel­la Chiesa le inter­pre­ta­zio­ni con­trad­dit­to­rie che diver­se con­fe­ren­ze epi­sco­pa­li han­no dato dell’Esortazione apo­sto­li­ca di Papa Francesco “Amoris lae­ti­tia” del 19 mar­zo 2016. […]

Sullo sfon­do di que­sti svi­lup­pi più recen­ti appa­re urgen­te una nuo­va rifles­sio­ne sul­la natu­ra e sul­la fun­zio­ne del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le. Per pri­ma cosa occor­re asso­lu­ta­men­te esa­mi­na­re il con­te­sto in cui l’istituzione con­fe­ren­za epi­sco­pa­le è nata, non­ché i suoi ini­zi. In quel­la fase, per la Chiesa si era trat­ta­to di orien­tar­si in un con­te­sto socio-politico radi­cal­men­te muta­to in segui­to alla rivo­lu­zio­ne del 1789. Successivamente, in pie­no con­tra­sto con l’ideale rivo­lu­zio­na­rio del­la liber­tà, fu isti­tui­to lo Stato auto­ri­ta­rio ideo­lo­gi­ca­men­te libe­ra­le e al tem­po stes­so oppres­si­vo del­la Restaurazione, che vede­va la Chiesa tutt’al più come un orga­no del­la “reli­gion gen­dar­me” per man­te­ne­re pace e ordi­ne tra il popo­lo.  Difficilmente si pote­va par­la­re di “liber­tas eccle­siae”, ovve­ro del libe­ro svi­lup­po del­la Chiesa. Per poter comun­que crea­re spa­zi d’azione e ren­de­re pos­si­bi­le la vita eccle­sia­sti­ca in quel­la situa­zio­ne ser­vi­va­no, di fat­to, pro­get­ti e azio­ni comu­ni da par­te dei vesco­vi, e più pre­ci­sa­men­te le azio­ni del­la Chiesa “ad extra”, ovve­ro nel con­te­sto politico-sociale. Al fine di crea­re que­sta comu­nio­ne nell’impegno per la liber­tà del­la Chiesa, la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le si rive­lò una neces­si­tà.

Questa per­ma­ne immu­ta­ta ed è anzi per­fi­no accre­sciu­ta, con­si­de­ran­do le con­di­zio­ni di seco­la­riz­za­zio­ne sem­pre più tota­li­ta­ria degli Stati e del­le socie­tà moder­ni.

Quel che però appa­re oppor­tu­no in que­ste cir­co­stan­ze è con­cen­tra­re, ovve­ro limi­ta­re, le com­pe­ten­ze del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le a quel­le que­stio­ni che riguar­da­no le rela­zio­ni “ad extra” del­la Chiesa. Queste coin­ci­do­no lar­ga­men­te con le mate­rie che ven­go­no rego­la­men­ta­te attra­ver­so con­cor­da­ti. A que­sto gene­re di fina­li­tà dovreb­be poi cor­ri­spon­de­re anche il modo di agi­re del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le, che può senz’altro esse­re quel­lo del­le orga­niz­za­zio­ni lai­che o del­le impre­se: quin­di, con­fe­ren­ze epi­sco­pa­li come “busi­ness mee­tings”.

Fondamentalmente diver­so dal­la natu­ra vol­ta “ad extra” del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le era ed è inve­ce il sino­do pro­vin­cia­le, le cui com­pe­ten­ze con­sul­to­rie e deci­sio­na­li riguar­da­no la vita del­la Chiesa “ad intra”. Dottrina del­la fede, sacra­men­ti, litur­gia e azio­ne pasto­ra­le: sono que­sti l’oggetto auten­ti­co dell’esercizio col­le­gia­le del mini­ste­ro docen­te e pasto­ra­le da par­te dei vesco­vi di un’associazione di Chiese par­ti­co­la­ri, ossia una pro­vin­cia eccle­sia­sti­ca sot­to la pre­si­den­za del metro­po­li­ta. La loro auto­ri­tà di inse­gna­re e gui­da­re insie­me sca­tu­ri­sce diret­ta­men­te dal­la loro ordi­na­zio­ne epi­sco­pa­le. Poggia quin­di su basi sacra­men­ta­li.

Proprio da que­sto risul­ta che il sino­do pro­vin­cia­le non è un “busi­ness meetings”clericale, ben­sì un even­to sacra­le: “Perché dove sono due o tre riu­ni­ti nel mio nome, io sono in mez­zo a loro” (Matteo 18, 20). Ciò vale ancor più per l’assemblea sino­da­le dei suc­ces­so­ri degli apo­sto­li. Questa intui­zio­ne ha por­ta­to a far sì che ben pre­sto si sia­no svi­lup­pa­te for­me litur­gi­che per tali assem­blee sino­da­li. Nacque l’”Ordo de cele­bran­do con­ci­lio”, del qua­le sono sta­te tra­man­da­te alcu­ne pri­me for­me del VII seco­lo, pro­ba­bil­men­te risa­len­ti a sant’Isidoro di Siviglia. […] Anche la pre­sen­za di lai­ci era auspi­ca­ta. […] I risul­ta­ti veni­va­no fir­ma­ti da tut­ti i vesco­vi e pre­sen­ta­ti al popo­lo per l’approvazione. […]

Pur con alcu­ne varian­ti, que­sta pro­ce­du­ra è sta­ta segui­ta per sei­cen­to anni. Anche l’ultima edi­zio­ne, pub­bli­ca­ta nel 1984 con il tito­lo “De con­ci­liis ple­na­riis vel pro­vin­cia­li­bus et de syno­do dio­ce­sa­no”, con­tie­ne dispo­si­zio­ni cor­ri­spon­den­ti, che ripren­do­no ele­men­ti fon­da­men­ta­li del­la tra­di­zio­ne. Di fat­to, se venis­se attua­ta emer­ge­reb­be con effi­ca­cia il carat­te­re teologico-liturgico del sino­do.

Questo sino­do o con­ci­lio pro­vin­cia­le è, di fat­to, già di per se stes­so litur­gia, essen­do una for­ma sacra­le dell’esercizio del mini­ste­ro docen­te e pasto­ra­le fon­da­to sull’ordinazione dei vesco­vi riu­ni­ti. Ma ai nostri gior­ni evi­den­te­men­te la con­sa­pe­vo­lez­za di ciò è lar­ga­men­te venu­ta meno, per cui da mol­to tem­po il sino­do, il con­ci­lio pro­vin­cia­le, ha lascia­to lar­ga­men­te il posto alla con­fe­ren­za epi­sco­pa­le. Questo fat­to è sia espres­sio­ne sia cau­sa di un pro­ces­so stri­scian­te di seco­la­riz­za­zio­ne del­la Chiesa ai gior­ni nostri.

Per poter­gli final­men­te por­re un fre­no – ed è una que­stio­ne di soprav­vi­ven­za – ser­vi­reb­be­ro, tra altre cose, anche una chia­ra sepa­ra­zio­ne del­le fun­zio­ni e degli ambi­ti di com­pe­ten­za del­la con­fe­ren­za epi­sco­pa­le e del sino­do, non­ché il ripri­sti­no del sino­do come for­ma sacra­le dell’esercizio del­la “sacra pote­stas” epi­sco­pa­le fon­da­ta sui sacra­men­ti. A tal fine anche l’attuale “Caeremoniale epi­sco­po­rum” sareb­be di gran­de aiu­to.

Di fat­to, se – “spe­ran­do con­tra spem” – si riu­scis­se a rav­vi­va­re que­sta for­ma auten­ti­ca di azio­ne epi­sco­pa­le col­le­gia­le, sareb­be un pas­so impor­tan­te in dire­zio­ne dell’obiettivo del­la de-secolarizzazione e quin­di di una ria­ni­ma­zio­ne spi­ri­tua­le del­la Chiesa, spe­cial­men­te in Europa.

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Sandro Magister è sta­to fir­ma sto­ri­ca del set­ti­ma­na­le L’Espresso.
Questo è l’attuale indi­riz­zo del suo blog Settimo Cielo, con gli ulti­mi arti­co­li in lin­gua ita­lia­na: settimocielo.be
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