È difficile ricavare che cosa resti di un mese di Sinodo, se si sta a quanto si legge nelle 42 pagine del suo documento finale.
Vi si dice (parte I, sezione 1, proposizioni j, k, q, r) che il nuovo “volto della Chiesa sinodale” è ancora tutto da disegnare. Perché ne resta ancora da “chiarire il significato”, come pure il suo rapporto con la collegialità episcopale e con la ben differente sinodalità delle Chiese orientali. E si propone “l’istituzione di un’apposita commissione intercontinentale di teologi e canonisti, in vista della seconda sessione dell’assemblea” nell’ottobre del 2024, affinché “si avvii uno studio preliminare”.
Le 270 proposizioni del documento, più l’introduzione e la conclusione, sono state tutte approvate ad una ad una con più di due terzi dei 364 votanti, vescovi, sacerdoti, laici, uomini e donne. Qua e là, però sono comparse alcune decine di ”no”, a segnalare divergenze su varie questioni raggruppate nel testo tra quelle ancora “da affrontare” in futuro.
Ma compare qualche dissenso anche su questioni su cui il documento registra “convergenze”. Ad esempio là dove vi si afferma (parte I, sezione 3, proposizione c) che “i processi sinodali consentono di verificare l’esistenza di quel consenso dei fedeli (‘consensus fidelium’) che costituisce un criterio sicuro per determinare se una particolare dottrina o prassi appartengono alla fede apostolica”. Qui i “no” sono 26, verosimilmente dubbiosi su questa consegna del magistero dottrinale a un vago “consenso dei fedeli”, accertato chissà come.
Altri 32 “no” trovano fuori luogo la richiesta ai missionari di caricarsi sulle spalle gli errori compiuti dalla Chiesa in passato, là dove ”l’annuncio del Vangelo è stato associato alla colonizzazione e persino al genocidio” (parte I, sezione 5, proposizione e).
Incassa 38 “no” anche la “proposta” (parte II, sezione 8, proposizione n) di “ampliare ulteriormente i compiti al ministero istituito del lettore”, che “potrebbe includere anche la predicazione”.
Ma il massimo dei “no”, 69, sono andati a “l’accesso delle donne al ministero diaconale”, incluso tra le “questioni da affrontare” (parte II, sezione 9, proposizione j). Il documento elenca così le “posizioni diverse” emerse nella discussione: “Alcuni considerano che questo passo sarebbe inaccettabile in quanto in discontinuità con la Tradizione. Per altri, invece, concedere alle donne l’accesso al diaconato ripristinerebbe una pratica della Chiesa delle origini. Altri ancora discernono in questo passo una risposta appropriata e necessaria ai segni dei tempi, fedele alla Tradizione e capace di trovare eco nel cuore di molti che cercano una rinnovata vitalità ed energia nella Chiesa. Alcuni esprimono il timore che questa richiesta sia espressione di una pericolosa confusione antropologica, accogliendo la quale la Chiesa si allineerebbe allo spirito del tempo”.
E 67 “no” esprimono dissenso anche dalla connessa “proposta” così formulata: “Si prosegua la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato, giovandosi dei risultati delle commissioni appositamente istituite dal Santo Padre e delle ricerche teologiche, storiche ed esegetiche già effettuate. Se possibile, i risultati dovrebbero essere presentati alla prossima sessione dell’assemblea” (parte II, sezione 9, proposizione n).
Una certa diffidenza trapela anche nei 39 “no” a un adeguamento della liturgia “all’uso di un linguaggio che tenga in ugual conto uomini e donne”, come anche “all’inserimento di una gamma di parole, immagini e racconti che attingano con maggiore vitalità all’esperienza femminile” (parte II, sezione 9, proposizione q).
Il celibato del clero è definito nel documento come “un tema non nuovo, che richiede di essere ulteriormente ripreso” (parte II, sezione 11, proposizione f). Ma l’ipotesi che possa essere superato, “soprattutto dove i contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile”, si è scontrata con 55 “no”, due in più di quelli che hanno respinto anche la proposta (parte II, sezione 11, proposizione l) di “inserire presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale che valorizzi la loro formazione e la loro esperienza”. In questa stessa sezione (proposizione i) ha fatto di nuovo capolino “la questione dell’accesso delle donne al diaconato”, respinta da 61 “no”.
Sul ruolo del vescovo, 29 “no” sono comparsi riguardo alla proposta di attivare “strutture e processi di verifica regolare” del suo operato (parte II, sezione 12, proposizione j).
Riguardo ai “temi connessi con la corporeità e la sessualità” si sa quanto il Sinodo fosse atteso al varco. E invece il documento finale li sfiora appena. Una proposizione salomonica come la seguente trova un consenso quasi generale, con soltanto 10 voti contrari: “Se utilizziamo la dottrina con durezza e con atteggiamento giudicante, tradiamo il Vangelo; se pratichiamo una misericordia a buon mercato, non trasmettiamo l’amore di Dio” (parte III, sezione 15, proposizione f).
Mentre 39 “no” vanno a quest’altra proposizione un poco più orientata, dove però la questione del “gender” è mescolata ad altre molto differenti: “Alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale, al fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale, risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove. Talora le categorie antropologiche che abbiamo elaborato non sono sufficienti a cogliere la complessità degli elementi che emergono dall’esperienza o dal sapere delle scienze e richiedono affinamento e ulteriore studio. È importante prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa. Molte indicazioni sono già offerte dal magistero e attendono di essere tradotte in iniziative pastorali appropriate” (parte III, sezione 15, proposizione g).
L’invito alle conferenze episcopali africane a “promuovere un discernimento teologico e pastorale sul tema della poligamia e sull’accompagnamento delle persone in unioni poligamiche che si avvicinano alla fede” (parte III, sezione 16, proposizione q) risulta non condiviso da 43 votanti.
Registra 35 “no” anche la proposta di non escludere da ruoli ecclesiali “uomini e donne che vivono vicende affettive complesse” (parte III, sezione 18, proposizione f).
E 34 “no” bocciano anche un possibile rafforzamento (parte III, sezione 19, proposizione g) dell’autorità “dottrinale e giuridica” delle conferenze episcopali sulle singole diocesi.
Trova invece un ampio consenso, con soli 19 “no”, la messa in discussione della “presenza di altri membri, oltre ai vescovi, in qualità di testimoni del cammino sinodale”. Dopo tanta enfasi data alla loro ammissione resta infatti aperta – ammette il documento (parte III, sezione 20, proposizione d) – “la domanda circa l’incidenza della loro presenza come membri a pieno titolo sul carattere episcopale dell’assemblea. Alcuni vedono il rischio che non sia adeguatamente compreso il compito specifico dei vescovi. Andranno anche chiariti in base a quali criteri i membri non vescovi possono essere chiamati a far parte dell’assemblea”.
Insomma, tanto rumore per nulla? Sì e no. Le questioni spinose che il documento finale del Sinodo tiene sotto traccia sono state oggetto, infatti, anche di un doppio intervento di papa Francesco e del suo fidatissimo prefetto del dicastero per la dottrina della fede, l’argentino Victor Manuel Fernández, in risposta ai “dubia” di alcuni cardinali.
Ed entrambe le risposte (l’una dell’11 luglio e l’altra del 25 settembre) sono state pubblicate il 2 ottobre, alla vigilia del Sinodo, ignorando del tutto che su quelle stesse questioni il Sinodo era stato chiamato a discutere: dalla benedizione delle coppie omosessuali alla comunione ai divorziati risposati, dall’ordinazione delle donne alla sinodalità estesa ai laici.
La sostanza di quelle risposte è che la dottrina resta intatta, ma la prassi può mutare, entro un “processo” evolutivo che non ha traguardi prestabiliti ma è esso stesso figura della nuova Chiesa sinodale. Nella quale a decidere è lui da solo, il papa.
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Sandro Magister è firma storica del settimanale L’Espresso.
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